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Castigat ridendo mores

Debito pubblico, ovvero l'asservimento di una nazione

Ecco come funziona il sistema perverso dal quale dobbiamo uscire se vogliamo essere un paese libero

Oggi, per essere degli elettori consapevoli e informati, occorre conoscere l’economia e i suoi meccanismi meglio di quanto conosciamo eventualmente la Storia, il Diritto o l’Educazione civica.
Quando gli Italiani, al bar o nel tinello di casa, inveiscono contro la classe politica, sono esattamente consapevoli con quali dinamiche economiche essa deve misurarsi, ed entro quali limiti essa può muoversi?
Per esempio, sanno esattamente cos’è quella palla al piede che il nostro paese si porta dietro da anni e che nel dibattito politico viene chiamata “debito pubblico”? E sono a conoscenza del fatto che questo debito pubblico, e in particolare il modo in cui viene gestito e riprodotto, è un attentato alla nostra democrazia, oltre che una rapina al nostro lavoro e ai nostri risparmi?

Allora proviamo a capire come funziona il debito pubblico. Fino al 1981 lo Stato italiano gestiva il problema in modo semplice e abbastanza indolore: lo Stato ogni anno chiudeva il bilancio in deficit (chi segue il blog ha avuto sufficienti dimostrazioni che il deficit dello Stato, contrariamente a quanto ci raccontano, è un fattore di crescita e di ricchezza per l’economia reale), emetteva poi dei titoli e delle obbligazioni (Bot, Btp, Cct) che venivano acquistati sui mercati finanziari; lo Stato incassava così il denaro necessario per coprire quel disavanzo. Ovviamente, alla scadenza di quel titolo (ad esempio dieci anni), lo Stato doveva restituire al compratore i soldi precedentemente incassati più un interesse, che variava in base a due fattori: 1) il potere d’acquisto della moneta in cui erano denominati quei titoli (un compratore, per esempio, poteva aver acquistato i titoli con dollari e gli venivano restituiti i soldi in Lire, dunque una moneta con meno valore, e questo faceva salire l’interesse); 2) la capacità di quello Stato di restituire i soldi, ovvero la sua affidabilità.

Il lettore a questo punto si chiederà: ma in questo modo il debito si rinnova all’infinito e non si estingue mai! Anzi, considerando gli interessi, c’è il rischio che aumenti, anziché diminuire. In effetti sembrerebbe proprio così, ma a quel punto lo Stato interveniva. Faceva sì che fosse la Banca d’Italia (che all’epoca faceva parte del Ministero del Tesoro) a comprare una grossa parte di quei titoli, ovviamente da restituire con un interesse, ma erano comunque soldi che lo Stato, in pratica, restituiva a se stesso. Dove prendeva il denaro necessario la Banca d’Italia? Semplice, lo inventava dal nulla, emettendo nuova moneta. Il risultato era che solo una parte del disavanzo era in mano a investitori privati, ai quali lo Stato non pagava nemmeno interessi troppo alti per un motivo ovvio: i compratori non potevano chiedere interessi troppo elevati, perché lo Stato aveva la propria banca e la propria moneta con la quale poteva comprare potenzialmente tutti i titoli, perciò poteva benissimo rifiutarsi di vendere quando l’interesse richiesto era troppo alto, imponendo poi alla Banca d'Italia di acquistare i titoli rimasti (prestatore di ultima istanza). C’era insomma equilibrio tra domanda e offerta dal momento che lo Stato non era costretto a vendere a qualsiasi interesse.

Nel 1981, però, le cose cambiarono. In quell’anno furono infatti separati Ministero del Tesoro e Banca d’Italia. Quest’ultima divenne dunque indipendente e soprattutto non era più obbligata ad acquistare i titoli del debito pubblico. Lo Stato, intanto, continuò per tutti gli anni ‘80 a chiudere ogni anno il bilancio in deficit, con la differenza però che il debito era totalmente in mano ad acquirenti privati. Quindi, ad esempio, lo Stato in un anno vendeva titoli per un valore complessivo di 200 mila miliardi di lire, che però servivano a pagare il debito contratto in precedenza con altri acquirenti e a coprire il deficit fatto quell’anno; l’anno successivo, era costretto a vendere titoli per un valore, ad esempio, di 230 mila miliardi, perché bisognava coprire un nuovo deficit, pagare il debito precedentemente contratto con altri acquirenti e i relativi interessi, nel frattempo aumentati perché lo Stato, senza il supporto della Banca d’Italia, dipendeva interamente dal mercato, in un meccanismo perverso attraverso il quale lo Stato più pagava e più si indebitava, e più si indebitava e più doveva pagare.

All’inizio degli anni ’90, quando ormai si prospettava l’ingresso dell’Italia nella moneta unica europea, lo Stato cominciò gradualmente a modificare strutturalmente il proprio bilancio in modo da evitare almeno di produrre ogni anno nuovi deficit. Il risultato fu parzialmente raggiunto, anche attraverso la svendita di diverse aziende pubbliche (una cosa vergognosa che meriterebbe un capitolo a parte), e soprattutto attraverso l’adozione di manovre finanziarie “lacrime e sangue” che già all’epoca cominciarono a logorare ai fianchi aziende e famiglie. L’Europa pretendeva non tanto che il debito pubblico fosse a tutti i costi contenuto, ma che questo fosse in un rapporto sostenibile con il Prodotto interno lordo, ovvero con la ricchezza del paese. Gli accordi di Maastricht imponevano agli Stati che si accingevano ad entrare nell’eurozona un rapporto debito/pil al di sotto del 100% (ad esempio: 100 la ricchezza, meno di 100 il debito). L’Italia non centrò completamente l’obiettivo: il debito rimase sotto controllo e anzi diminuì leggermente, ma per raggiungere questo scopo lo Stato fu costretto a imporre sacrifici pesanti all’economia, con il risultato di deprimere il pil, tanto più che non poteva più fare dei deficit per ridargli slancio (come si era fatto fino agli anni ’80): glielo impediva l’Europa - secondo Maastricht gli Stati dell'eurozona non possono produrre dei deficit superiori al 3% del Pil - e oltretutto non avrebbe neanche potuto coprire eventuali disavanzi stampando moneta, perché la Banca d’Italia non acquistava più i titoli (ricordate?). I conti pubblici dell’Italia furono comunque approvati, anche perché sarebbe stato impossibile escludere dall’eurozona IL PRIMO paese europeo sia per produzione industriale (avete letto benissimo, IL PRIMO) che per risparmio privato.

Abbiamo quasi finito. Uno dei vantaggi dell’Euro (forse l’unico) doveva essere, in teoria, quello del contenimento dei tassi d’interesse, proprio perché l’Euro è una moneta forte, vale a dire con un forte potere d’acquisto (ricordate all’inizio?). Per l’Italia, dunque, sarebbe stato più facile onorare il proprio debito. Le cose purtroppo non stanno così, anzi la realtà si è rivelata completamente diversa. La ragione è da ricercare in ciò che è stato scritto prima: dal momento che lo Stato non ha una propria moneta emessa da una propria banca (la banca centrale), il suo debito è interamente in mano ai privati, il che vuol dire che lo Stato, quando ha bisogno di Euro, li può soltanto chiedere in prestito a interesse ai mercati finanziari, i quali ovviamente chiedono gli interessi che vogliono, tanto più che lo Stato, non avendo una propria moneta, non può rifiutarsi di vendere se ritiene gli interessi troppo alti. Facciamo un esempio pratico: mettiamo che nell’anno in corso lo Stato debba onorare debiti in titoli ed obbligazioni, venduti negli anni precedenti, per un valore complessivo di 800 miliardi di euro, interessi inclusi; quei soldi vengono ricavati dalla vendita di altri titoli ed obbligazioni che, alla loro scadenza, lo Stato dovrà liquidare agli acquirenti con tutti gli interessi, i quali come abbiamo visto continuano ad essere abbastanza elevati nonostante l’Euro. Il meccanismo perverso, come è evidente, si riproduce all’infinito, è un debito che si rinnova all’infinito senza estinguersi mai (sarebbe infatti impossibile per lo Stato trovare 800 miliardi di euro attraverso un aumento delle tasse o un taglio delle spese). Ma c’è di peggio: poiché il debito è tutto in mano a privati dai quali lo Stato dipende completamente, c’è il rischio che questi chiedano interessi via via sempre più alti quando giudicano l’Italia un paese a rischio e dunque, a loro avviso, incapace di restituire il denaro (default sui pagamenti). E si badi bene che l’interesse cresce non perché l’Italia non abbia i conti in ordine, ma perché non ha una propria moneta e quindi dipende interamente dal mercato.

Che l’Italia non abbia i conti in ordine è una balla colossale che ci propina la tv e anche gli stessi politici. Sono anni ormai che l’Italia non produce dei deficit significativi, anzi in alcuni anni il bilancio ha fatto registrare addirittura un avanzo primario (cioé escluse le spese per gli interessi corrisposti sul debito pubblico). Il che ci fa capire come tutto questo sforzo di onorare continuamente debiti non venga fatto per un disavanzo fra entrate e uscite che sarebbe ossigeno puro per l’economia del paese (come è stato dimostrato nei precedenti articoli), ma per pagare i vecchi debiti, i quali però come abbiamo visto non si estinguono mai, anzi tendono ad aumentare per via degli interessi. È esattamente in questo modo che il nostro debito è arrivato a toccare i 2 mila miliardi di euro.

L’errore più macroscopico sta nell’aver fatto gravare questo debito sulle spalle dell’economia reale, il che è ancora più assurdo se si considera che questo debito pubblico è, a conti fatti, un pericolo fasullo, dal momento che gran parte di esso è in mani italiane (banche e cittadini) che posseggono titoli di Stato (pensate ai "Buoni" postali), quindi vantano un credito nei confronti dello Stato. Questi italiani non sono indebitati, al contrario, hanno in tasca una piccola o grande ricchezza finanziaria. In sostanza, il debito pubblico è una mezza presa in giro, ma ciò nonostante si persevera ad agitarlo come uno spauracchio, come dimostra la recente decisione presa in ambito europeo di imporre agli Stati dell’eurozona la riduzione del debito. Secondo il cosiddetto “fiscal compact”, da quest’anno l’Italia dovrà produrre un avanzo tale da ridurre il rapporto debito/pil di 1/20 all'anno nei prossimi vent'anni, fino a farlo scendere dall'attuale 130 per cento al 60 stabilito dal Trattato di Maastricht. Una follia assoluta che provocherebbe un’autentica macelleria sociale, perché la nostra economia oggi avrebbe bisogno, semmai, che lo Stato facesse deficit di un centinaio di miliardi, dunque intorno al 6-7% del Pil, da coprire ovviamente con l’emissione di moneta e non affidandosi interamente al mercato finanziario. Va da sé che sarebbe quanto mai opportuno coprire nella stessa maniera anche gli interessi sul debito legato alla vendita dei titoli. Lo so che i cittadini hanno in mente l’inflazione galoppante degli anni ’70-’80, ma il paragone è improponibile perché all’epoca lo Stato spendeva in modo sconsiderato e si indebitava ogni anno, mentre qui si parla di deficit da produrre per qualche anno, il tempo necessario per dare ossigeno alle aziende e alle famiglie.

D’altra parte, quale alternativa abbiamo? Se continuiamo in questo modo la disoccupazione arriverà al 20% nel giro di quattro-cinque anni, praticamente lo sfacelo di una nazione. Gli Italiani si devono rendere conto che ormai sono letteralmente asserviti a banche, multinazionali, istituzioni finanziarie e speculatori a vario titolo da cui dipendiamo al 100 per cento, come ho cercato di spiegare in questo articolo. E a questo dominio noi ci dobbiamo ribellare, costi quello che costi, fosse anche un’uscita dall’eurozona. Non c’è più tempo da perdere.  

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